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24/04/2012 - Feste Religiose in Sicilia, conversazione con Ferdinando Scianna
di Ferdinando Scianna

 

 

 

 

Ferdinando Scianna, fotografo di origine siciliana, primo italiano ad entrare nella Agenzia Magnum, mi parla del suo libro fotografico dal titolo Feste Religiose in Sicilia, pubblicato nel 1974 con presentazione di Leonardo Sciascia.

 

Alessandro Gianoli: Le sue immagini sono parte di un lavoro che nasce con intento di documentazione. Ciò nonostante, possiedono una composizione formale che le lascia guardare come fossero quadri.

 

Ferdiando Scianna: Da una parte si dà l’accento quindi alla cosiddetta creatività del fotografo, io non ho mai capito bene cosa sia. Io penso che sia dialettica la cosa, da una parte si possono vedere come una cosa antropologica e dall’altra invece significano come se fossero dei quadri. Non è possibile secondo me vederle solamente come quadri le fotografie. La fotografia si usa per comunicare qualche cosa narrativamente, a meno che non si tratti di un coleottero, entrano nell’ordine della narrazione, comunicano più o meno, in una maniera o in un’altra, dicono certe cose invece che altre anche a causa del loro capacità linguistica di farlo, della loro forza linguistica, perfino della loro forza estetica, quindi della loro bellezza, che è una parola di difficile uso. Poi tra l’altro creativo è una parola che non mi piace, è una parola che dovrebbe essere utilizzata soltanto al passato e soltanto per il Padre Eterno, perché creare sostanzialmente significa produrre qualche cosa partendo dal niente, e vede, se c’è una cosa che il fotografo non fa è questa. Ancora ancora un pittore può dire ho un foglio bianco, una matita, e raffiguro una rosa, ma un fotografo se non ha la rosa non cattura niente, il fotografo semmai trova, non crea niente. Comunque è certo che mentre fotografa la rosa la può cogliere in mille modi diversi ed allora poi noi possiamo dire: questa qui è la rosa fotografata da quello li perché ha un qualcosa in più di carattere linguistico però la cosa importante della fotografia è l’essere traccia di qualcosa. In questo sta la sua differenza da tutte le altre forme. La fotografia non rappresenta, la pittura può rappresentare ed anche la letteratura. La fotografia estrae, racconta, la fotografia è un lettore.

 

Alessandro Gianoli: Quindi secondo lei è inopportuno utilizzare termini quali rappresentare, raffigurare in merito alla fotografia?

 

Ferdiando Scianna: Io penso che bisognerebbe essere come quando Sabinio dice “la gente usa indistintamente chiedere e domandare” ed invece no, si chiede una cosa per averla e si domanda per avere una risposta. Non dico che l’uso delle parole rappresentare e raffigurare sia illegittimo, dico che corrisponde ad una concezione della fotografia che la sposta verso la soggettività e che quindi la considera una delle forme dell’arte. Invece io non considero affatto la fotografia una delle forme dell’arte. La fotografia ha rotto la nostra maniera di rapportarci a delle immagini che sono quelle dell’arte, proprio perché, per la prima volta, secondo una rivoluzione copernicana, tutte le immagini che l’uomo ha prodotto prima della fotografia nascevano dall’uomo, ed attraverso la sua capacità raffiguravano il mondo. Invece le fotografie per la prima volta partono dal mondo e producono un’immagine. Il fotografo è un mediatore che opera con un altro mediatore, che è la macchina fotografica. Quindi il fotografo è un interprete, un lettore piuttosto che uno scrittore.

Prima ci sono le feste, e poi c’è Scianna che le fotografa, ma il fotografo è li perché c’è la festa ed è tanto più bravo  quanto più, documentando quella festa, rendendo conto di quello che succede, ti da il suo punto di vista, che è allo stesso tempo conoscitivo, e qui troviamo il contenuto antropologico, ma anche emotivo, e li c’è il contenuto esistenziale ed estetico in cui appare la particolare maniera del fotografo.

 

Alessandro Gianoli: Nello sfogliare il libro Feste religiose in Sicilia, guardando le sue fotografie e pensando alla giovane età in le ha scattate  mi è venuto naturale immaginare lei, ventenne, con la macchina fotografica in mano, ipotizzando i suoi gesti, le sue aspettative, la sua passione…

 

Ferdiando Scianna:  Una passione grande che nasceva da una utopia idealizzata. Io ero molto interessato a quel mondo contadino che mi circondava e dalle sue manifestazioni quali feste, ma anche dal lavoro, la vita di paese. Era un interesse che avevo anche prima di scoprire che avrei fatto il fotografo. Poi con la fotografia da questa passione ne ricavavo delle immagini dove queste cose venivano comunicate e ciò era bello. Poi non c’erano fotografi ai tempi.

 

Alessandro Gianoli: Non possiamo limitarci a dire che era passione, lei possedeva un certo talento…

 

Ferdiando Scianna: Chi ha talento lo lega alla passione. Il talento di per se è un concetto di inutile approfondimento. Uno può avere un certo talento per le immagini, ma se non ci mette dentro la consapevolezza non giunge a far niente. E’ come quando si parla della bellezza, una donna bellissima può fare l’attrice o la prostituta, dipende da come usa la sua bellezza.

 

Alessandro Gianoli: In una sua recente intervista, racconta come abbia metabolizzato sin dall’infanzia la passione per le immagini grazie alla assidua frequentazione delle sale cinematografiche, tra le quali quella del cinema cittadino, dove entrava gratuitamente in virtù del fatto che suo nonno, falegname, costruiva le intelaiature per le locandine di ogni nuova pellicola. Mi è parso importante nella sua formazione il rapporto che c’era tra i mondi rappresentati da suo padre, che apparteneva al mondo contadino a cui lei era interessato, ed il nonno che invece esercitava un’attività artigianale. Dal confronto tra queste due personalità ha conosciuto sin dall’infanzia la  diversità tra il duro lavoro manuale, composto di fatica e fato,  ed il lavoro artigianale volto alla progettualità. Mi sono chiesto quale fosse lo stile da lei acquisito. Da quanto ho potuto verificare la ricerca delle fotografie pubblicate in Feste religiose in Sicilia era spinta più da un piacere personale che da un progetto prestabilito.

 

Ferdiando Scianna: Be, fino ad un certo punto perché… io ero alla ricerca di una via di fuga sostanzialmente da un destino prefigurato in un mondo contadino che si affacciava alla piccola industria.

 

Alessandro Gianoli: Quindi viveva la sua passione per fotografia con la consapevolezza che fosse un’opportunità?

 

Ferdiando Scianna: Non era molto chiaro. Quando sono andato a Palermo all’università mi sono orientato verso gli studi antropologici in quanto coincidevano con i miei interessi per il mondo che mi circondava. Però la progettualità nasceva dal fatto che con quel materiale raccolto avrei fatto la tesi di laurea. Poi invece per strada mi sono reso conto che mi interessava sostanzialmente raccontare quel mondo a prescindere delle intenzioni di carattere scientifico-antropologico.

Sciascia mi fece comprendere che io ero meno interessato al dato documentario di quanto non lo fossi del dato narrativo. Un fotografo specificatamente antropologico fotografa in funzione di un parametro di studio. Un fotografo riprende il gesto come manifestazione dell’essere delle persone. Ha anche naturalmente un valore documentario. Le foto di Feste religiosehanno oggi un forte contenuto documentario, raccontano che cos’era il mondo popolare in quegli anni, e ne sono passati quaranta.

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